L’IDEA
Si narra che la storia del villaggio abbia avuto inizio un giorno, alla fine degli anni ‘50, a seguito di una geniale intuizione di due uomini inglesi che rispondevano ai nomi di Mr. Gaspar e Mr. Lubin. Dopo il secondo conflitto mondiale, la Gran Bretagna stava operando una vasta politica di riassetto del suo impero coloniale, alla luce dei nuovi equilibri politici stabilitisi dopo la grande guerra.
L’amministrazione di molti protettorati inglesi situati in tutto il mondo, in particolare nelle zone equatoriali dell’Africa e nelle aree del Commonwealth Britannico, doveva essere riorganizzata. Per centinaia di funzionari e burocrati inglesi, vissuti per intere generazioni in luoghi caratterizzati da climi e abitudini totalmente differenti dalla madre patria, si presentava la strada di un pensionamento, spesso prematuro ma allietato da una generosa liquidazione erogata da Sua Maestà britannica.
Perché non proporre loro l’acquisto di un pezzo di terra in un’area caratterizzata da un clima temperato, dove edificare un rifugio per trascorrere una vecchiaia tranquilla e salutare, abitata da un popolo civile e ospitale? Bisognava trovare una lingua di terra che sposasse al meglio queste intenzioni! Il caso volle che la scelta cadesse sulla ridente terra di Puglia e in particolare su Ostuni.
LA REALTA’ LOCALE
La famiglia dell’ing. Rodio, notabile ostunese, alla fine degli anni ‘50 aveva affidato alla Cassa Depositi e Prestiti l’incarico di vendere una proprietà di 138 ettari, dei quali 100 completamente brulli (corrispondenti alla zona che dal mare si estende sino all’altezza dell’attuale sede del Consorzio), privilegiata da un esteso fronte mare di circa due chilometri ed immerso in un’ampia fascia di vegetazione mediterranea. Soltanto le odierne zone “H” e “J” erano coltivate ad oliveto. Il prezzo di richiesta ammontava a 200 milioni di lire (dell’epoca).
La proprietà era divisa dalla strada litoranea tre, già asfaltata ma ad una corsia ed era caratterizzata dalla presenza di due lame (corsi d’acqua torrentizi), che raccoglievano le piogge invernali (uno dei quali riportato nelle mappe catastali come “Torrente Rosa Marina”). Una sorgente di acqua salmastra situata sotto la modesta e fatiscente abitazione del massaro, “Masseria Rosa Marina piccola” (poi demolita per far posto all’attuale Grand Hotel), garantiva una costante presenza di acqua alla foce dell’alveo. L’altra lama, quella che oggi separa Cala di Rosa Marina, scorreva nelle vicinanze di un vecchio edificio, poderoso ed austero, la “Masseria Rosa Marina grande”, casa padronale dei Rodio ed oggi comunemente chiamato dai villeggianti “La Masseria”.